12/26/2011

Fotografia "Condizionata".

Siamo condizionati dagli altri quando fotografiamo qualcosa?
Certamente, per quanto una persona eviti di cercare "spunti" guardando le foto degli altri (famosi e non) il mondo moderno ci piazza comunque davanti agli occhi una miriade di stereotipi che alterano in noi la percezione di come appaiono le cose nella realtà.
Dalle pubblicità alle confezioni degli oggetti che compriamo tutto è uno stereotipo di immagini che condizionano la nostra mente.
Questo è inevitabile, una persona potrà esserne piu o meno condizionata, ma comunque qualcosa le arriverà.
Il mio modo di fotografare sarà sicuramente condizionato in qualche modo, la prima volta che per gioco cercherò di fotografare dei biscotti la mia mente inconsciamente mi suggerirà un "taglio" di quelli pubblicitari che si vedono sui pacchetti.
Da questa standardizzazione possiamo liberarci?....
Secondo me si, cercando pian piano uno stile nostro, che ci rappresenti.
Questo non vuol dire per forza fare tagli diversi da quelli che ci piacciono, ma cercare di personalizzarli, di renderli propri.

Se avete commenti su questo argomento scriveteli! Io ho cercato di esternare un mio pensiero.





4 commenti:

  1. Se domandassimo a 100 persone adulte se si sentono condizionate dai media, soprattutto per quanto riguarda l'ambito acquisti, moda etc, sicuramente la maggior parte ci risponderebbe di no, con un pò di sdegno, come a significare che solo gli sciocchi si lasciano influenzare con facilità. In realtà il problema è che il condizionamento avviene a livello inconscio, pertanto non consapevole, in ognuno di noi, volente e nolente. Siamo condizionati dalla nascita, prima dai genitori, poi dall'ambiente e poi, inevitabilmente, dai media che oggi come oggi scaricano quotidianamente milioni di messaggi più o meno espliciti che influenzano praticamente ogni nostra scelta o stato d'animo. Armi di persuasione di massa, per far si che ci si senta più o meno adeguati a questa società a seconda che si facciano determinati acquisti oppure scelte di vita , che si abbia un certo tipo di lavoro, un certo stato sociale, il tutto con un unico fine : alimentare l’industria del consumo a vantaggio delle multinazionali internazionali. Questo il grande pregio della globalizzazione.
    Triste ma drammaticamente reale.
    Quindi quanto siamo " autentici" nel proporre la nostra immagine del mondo attraverso la fotografia? Quanto il visto e rivisto direttamente od insufflato nel nostro cervello a livello subliminale incide sulla nostra proposta di fotografia? Parecchio direi, anzi, troppo. Noi proponiamo inevitabilmente ciò che già abbiamo in un qualche modo assimilato, anche perchè ciò che non si conosce appare come invisibile ai nostri occhi. Solo attraverso un profondo percorso di conoscenza di se unite ad una continua ricerca del reale svincolato dagli stereotipi che ci vengono proposti ci può aiutare ad avere quel briciolo di originalità che sempre chiediamo agli artisti ma che spesso non riconosciamo quando l’artista in questione è talmente avanti ( svincolato appunto dagli stereotipi della società in cui vive ) da non venire capito ma anzi deriso per le sue proposte troppo azzardate.
    Giusto cercare una personalizzazione, ma perché sia genuina e produca qualcosa di sinceramente originale occorre che sia frutto di un lento e consapevole percorso che porti a riconoscere i propri limiti ( dovuti appunto al condizionamento ) e conduca ad una espressività che non tema valutazioni di giudizio esterne : ciò che verrà fatto sarà perché piace a noi, perché questo risultato consente di esprimerci, di portare aventi la nostra visione e non per compiacere altri al fine di ottenere la loro approvazione.
    La valutazione di un opera, ad esempio di una fotografia, senza la conoscenza attenta del suo autore, del suo blackground culturale potrerà inevitabilmente l’osservatore a fare valuazioni in base a criteri estetici consolidati da secoli, pertanto, inevitabilmente, verrà applaudito ciò che rispetta determinati canoni e dileggiato chi se ne discosta.
    Ora la mia domanda è : chi tra le migliaia di sconosciuti ha il coraggio di andare per la propria strada fregandosene dei giudizi altrui che se positivi potrebbero portarlo al successo?
    Credo che questo sia il grande limite della maggior parte di noi : tendere ad accontentare, a compiacere per acquistare visibilità, non accorgendoci che in questo modo finiremo inevitabilmente confusi tra i tanti propinatori di immagini tutte inevitabilmente uguali.
    Stefano Landi

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  2. Ciao Stefano, Grazie del tuo intervento.
    Innanzitutto direi che la tua capacità di esprimere ciò che pensi è infinite volte superiore alla mia!
    Dalle tue parole mi rendo conto che probabilmente anche il mio dire: "fare tagli diversi da quelli che ci piacciono, ma cercare di personalizzarli, di renderli propri" è ancora un pensiero frutto della standardizzazione.
    Rifletterò sulle tue parole (e cercherò un po di informazioni in rete) per provare ad arrivare a una visione piu' estesa.

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  3. Caspita la cosa si fa interessante.
    Non sono umilmente d'accordo con questa frase di @Stefano...
    <
    La valutazione di un opera, ad esempio di una fotografia, senza la conoscenza attenta del suo autore, del suo blackground culturale potrerà inevitabilmente l’osservatore a fare valuazioni in base a criteri estetici consolidati da secoli, pertanto, inevitabilmente, verrà applaudito ciò che rispetta determinati canoni e dileggiato chi se ne discosta.
    >
    a me inevitabilmente capita che ogniqualvolta mi trovi a fruire di una qualsiasi forma espressiva e, inevitabilmente, ne vengo più o meno contaggiato o permeato dal messaggio (che ovviamente viaggia su canali comunicativi sicuramente non perfettamente aderenti all'intenzione dell'autore, ma soprattutto meno "robusti" intellettivamente data la mia scarsa preparazione artistico-estetica), poi quando per un motivo qualsiasi prendo contatto con chiavi di lettura, siano esse il nome stesso dell'opera o accenni dell'autore al motivo ispirante o motivazionale, io ne rimanga sistematicamente . . . . . . . potrei dire deluso ma mi rende poca giustizia; ecco direi disorientato ma in modo negativo. Quasi disturbante. Potrebbe essere un germoglio di presunzione che mi spinge a proteggere l'ego ferito da un "parere" (banalizzo) diverso, e oggettivo a tutti gli effetti visto che è o attiene all'autore, da quello che mi ero formato.
    Vi dirò che mi dà quasi fastidio conoscere, in ambito fotografico, quelle quattro regole che ho imparato, perchè troppo spesso, mi trovo a "guardare" una foto, applicandole.
    Sotto sotto c'è il vecchio luogo comune "dell'uomo di testa e dell'uomo di pancia". Sopperisco alla carenza di capacità critica con il sensazionale viscerale.
    Collegandomi al post che ha fatto Damiano sulle "foto migliori", le fotografie che più spesso rivaluto sono quelle che avevo "parcheggiato" come "rivedibili" per motivi di valutazione derivata da ragionamento. Motivi del tipo "Questa troppo chiara, troppo scura, zona bruciata, troppo cielo ecc" avevano permesso che sottostimassi, ai miei occhi ovviamente, alcune foto che emozionalmente mi davano motivo di valutazione positiva.
    Insomma sono + un tipo a cui piace Van Gogh e non capisce il perchè ma davanti ad un Michelangelo (ma ci deve essere scritto sotto) non vado oltre alla valutazione puramente estetica dell'immagine rappresentata dal quadro. (Devo aver bestemmiato?)

    Noto che questa replica ha assunto una piega fin troppo seria ed elucubrata per il mio standard. Non vorrei che mi prendeste per un megalomane.

    Sono un modestissimo fotografatore e mi ha stimolato l'intervento di Stefano che ha toccato una corda che è sempre stata un mio cruccio.

    Alberto.

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  4. Ciao Alberto,
    Concordo con te in merito alla valutazione delle opere; non avendo studiato nulla in merito tendo a valutarle dall'aspetto quasi puramente tecnico di realizzazione...non oltre.

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